«La giustizia non fa ascolti. La giustizia non interessa a nessuno. La gente vuole un mostro… E io le do quello che vuole». “La ragazza nella nebbia ha il merito di raccontare il nostro tritacarne mediatico quasi quotidiano (specie tele-lesivo, ndr) attraverso una storia paradossale, come spesso devono essere le storie esemplari, che si legge di un fiato e lascia dietro di sé un retrogusto amaro (…) Carrisi descrive bene un sistema che ormai si morde la coda (…)”

USCITO LUNEDI’ 23 NOVEMBRE. “Non gli interessa nulla del dna, non sa che farsene dei rilevamenti della scientifica, però in una cosa è insuperabile: manovrare i media. Attirare le telecamere, conquistare le prime pagine. Ottenere sempre più fondi per l’indagine grazie all’attenzione e alle pressioni del «pubblico a casa». Santificare la vittima e, alla fine, scovare il mostro e sbatterlo in galera. Questo è il suo gioco, e questa è la sua «firma». Perché ci vuole uno come lui, privo di scrupoli, sicuro dei propri metodi, per far sì che un crimine riceva ciò che realmente gli spetta: non tanto una soluzione, quanto un’audience”
“A cercarla arriva uno di quelli che vengono sempre chiamati superpoliziotti, carico di medaglie e reduce da un brutto scivolone professionale: le prove falsificate sul conto di un presunto colpevole accusato di lasciare tubi esplosivi nei supermercati. E poi ci siamo noi, i veri protagonisti. Nel senso dei media (…)
Carrisi ha deciso di sporcarsi le mani infilandole nel cesto della cronaca nera italiana, e la precisazione geografica purtroppo si rende necessaria, perché il nostro modo di raccontare i fatti violenti e morbosi ormai è diventato davvero unico, e sappiamo tutti che non è ragione di vanto, anzi (…)

USCITO I PRIMI DI GENNAIO DI QUEST’ANNO. “Una redazione raccogliticcia che prepara un quotidiano destinato, più che all’informazione, al ricatto, alla macchina del fango, a bassi servizi per il suo editore… Un perfetto manuale per il cattivo giornalismo che il lettore via via non sa se inventato o semplicemente ripreso dal vivo (…)”. Un giornale che parla del domani, del giorno dopo la pubblicazione, che quindi ipotizza, suggerisce, allude a fatti che non sono ancora successi ma che potrebbero succedere e coinvolgere personaggi illustri. Uno strumento molto potente, insomma, in grado di condizionare e indirizzare il comportamento di molte persone. Su questo nuovo mestiere di giornalista, che deve saper prevedere e suscitare reazioni, creare notizie dal nulla e affossare verità conclamate, il direttore basa le sue quotidiane lezioni durante le riunioni di redazione, offrendo a tutti i suoi giovani collaboratori le “armi” del mestiere.
Quel che davvero interessa a Carrisi è il racconto della nostra anomalia… Il superpoliziotto è un tipo esperto, ha annusato gli ingredienti giusti per uscire dall’anonimato e dall’indifferenza ai quali vengono consegnate tante vicende simili. Lui sa come fare. Perché ormai conosce bene gli ingranaggi del meccanismo che porta un crimine a diventare mediatico, aggettivo che è come una manna per tutti, i media ma anche quello speciale indotto di poliziotti, esperti o presunti tali (…)
Lui orchestrerà questo coro con cinismo, dividendo il pane delle notizie, vere o false che siano non importa, ci si accontenta del verosimile, le esigenze sono altre (…)

ALTRO LIBRO DI RACCONTI APPENA USCITO (Stampeditore). “Quindici gustosi quadretti in cui si racconta il mestiere del giornalismo prima dell’avvento del computer. Storie al Chianti servite al sangue, carne di taccuino. Storie di sottane, soffiate, notti in bianco e strade consumate. Di macchine da scrivere, fiuto da detective, rotative voraci e dettagli in cronaca.
Quando in redazione si respirava fumo di sigarette e arrosto di scoop (tra gli scherzi dei colleghi e un soprannome che è per sempre) e le dita dei redattori si sporcavano d’inchiostro. L’epoca mitica – epopea gloriosa – in cui il cronista era dentro la notizia, e a volte la creava.
Racconti in agrodolce, squarci di cinica purezza nel circo dell’umano”.
Certo, il superpoliziotto che neppure cerca la ragazza perduta nella nebbia ma si dedica con mezzi ignobili alla costruzione di una storia a misura dei media, è una figura abnorme. Ma quale cronista non si è mai imbattuto in un funzionario o in un maresciallo che davano la notizia con il titolo già confezionato, fatto apposta per ingolosire? Diciamoci la verità, i tempi della grande cronaca nera raccontata da Dino Buzzati e da altri giganti come lui, quando i delitti erano lo specchio nel quale una società guardava se stessa, un modo per raccontarla, sono finiti.
E forse non solo per l’estinzione dei maestri. In Italia ormai i media sono parte essenziale della cronaca nera, del delitto che raccontano. Sono un attore protagonista che spesso influenza gli altri soggetti, crea e disfa seguendo l’unica stella cometa dell’emozione, del dettaglio che possa dividere, innocentisti da una parte, colpevolisti dall’altra, le opposte fazioni come garanzia di audience e sopravvivenza pubblica (…)
L’unica persona che si salva in questo sfacelo morale è l’anziana ex direttrice del giornale locale, omaggio alla cara vecchia carta stampata, al mestiere fatto in un certo modo, rispettando le persone e i fatti. È quasi una scelta di campo, comunque un giudizio sulle diverse responsabilità di ognuno. In un angolo, messa da parte, c’è sempre la vittima, entità astratta, semplice casella di partenza della giostra, subito dimenticata e spesso oltraggiata (…)”.
(Marco Imarisio, “La Lettura”, area cultura
del Corriere della Sera, 22 novembre)