Scopare conviene? La scomparsa del sesso nella modernità (che te lo fa trovare, anche spinto, dappertutto, anche se è un bisogno di cui si può fare a meno – mica è la fame o la sete). Molti, infatti, preferiscono il lavoro, gli amici, gli hobby (di contro, però, hanno successo sugar daddy e wild cougar, cioè relazioni un po’ così). Siamo nel celeberrimo quadro di Hopper, dove un uomo è seduto al bordo d’un letto su cui giacciono una donna seminuda e un libro aperto, probabilmente Platone. Bentornato fine onanista Diogene!

Scopare conviene? La scomparsa del sesso nella modernità (che te lo fa trovare, anche spinto, dappertutto, anche se è un bisogno di cui si può fare a meno – mica è la fame o la sete). Molti, infatti, preferiscono il lavoro, gli amici, gli hobby (di contro, però, hanno successo sugar daddy e wild cougar, cioè relazioni un po’ così). Siamo nel celeberrimo quadro di Hopper, dove un uomo è seduto al bordo d’un letto su cui giacciono una donna seminuda e un libro aperto, probabilmente Platone. Bentornato fine onanista Diogene!


MIMOSA“In questa società che avvilisce il piacere, ci vogliono i monaci”. Avere sottratto il sesso al fine naturale, ossia la procreazione, ha svelato al mondo che gli unici ad avere capito tutto in anticipo erano quelli che si erano rinchiusi nella perversione più sublime: la castità. Riflessioni sul libro “Le aggravanti sentimentali” e sul saggio “Sexout”

approccioNon scopa più nessuno, nemmeno nei romanzi di Antonio Pascale che hanno sempre creato una tensione d’intelligenze altamente erotica. “Le aggravanti sentimentali” (Einaudi) sono una carneficina. A pag. 17 una donna “dice che non le piace tanto scopare”. A pag. 25 un uomo si lagna: “Alzati, fatti la doccia, cerca il preservativo… Guarda, a volte scopare è una palla”. Passano venti pagine e un altro descrive “il futuro del sesso: quando la procreazione perderà il suo lustro faremo sesso mistico e ragionato, come monaci. In questa società che avvilisce il piacere, ci vogliono i monaci”. In altre parole avere sottratto il sesso al fine naturale, ossia la procreazione, appiattendolo su uno scopo culturale, ossia esibire la propria identità, e misurandolo su una scala economica, ossia la ricerca del piacere assoluto, ha svelato al mondo che gli unici ad avere capito tutto in anticipo erano quelli che si erano rinchiusi nella perversione più sublime: la castità.

maniMica finisce qui: a pag. 67 ci sono uno, ancora giovane, che parla di prendersi soddisfazioni di fine carriera e una che dichiara che il sesso “non rientra nei suoi interessi primari”; a pag. 97 si avanza l’ipotesi che tutti i comici siano impotenti quindi facciano ridere per avere una copertura, per distogliere l’attenzione femminile, quindi “per non scopare”; a pag. 160 arriva chi decreta che “il sesso, come garanzia di felicità, è sopravvalutato”. Può tutt’al più essere lenimento, regressione infantile: di questo complesso romanzo la scena che più resta impigliata nella mente mostra una donna che, quando il suo partner nervosetto inizia a dare in escandescenze, prende a masturbarlo “con pazienza distratta, come una mamma che calma il figlioletto capriccioso mentre pensa che il sugo sul fuoco rischia di bruciarsi”…

Su tutto il libro torreggia la storia vera della dottoranda che scrive al Venerdì di Repubblica per raccontare a Natalia Aspesi dell’amico che la ospitò per il fine settimana ma non volle portarsela a letto, preferendo chiudersi in camera a guardare siti porno. Ci si può domandare perché un ragazzo in salute preferisca un corpo femminile virtuale a uno reale (Pascale azzecca la risposta: perché le pornostar non hanno il dottorato di ricerca) e poi compulsare le tremende pagine finali del romanzo, in cui viene dimostrata sperimentalmente la separazione fra natura e cultura nella nostra società: le donne sono oramai istintivamente portate a dire di non avere voglia e a credere di non avere voglia anche quando la biologia dimostra che ce l’hanno, o viceversa. Ma come diceva il balzano santone di “Avere vent’anni”, l’uomo è l’unico animale che mangia quando non ha fame, beve quando non ha sete e fa l’amore quando non ha voglia; teoria che esposta davanti a Gloria Guida e a Lilli Carati sortiva un certo effetto.

Il romanzo di Pascale è un’escursione nella filosofia, nel senso che per tono coincide con l’omonimo celeberrimo quadro di Edward Hopper: un uomo seduto al bordo di un letto su cui giacciono una donna seminuda e un libro aperto, probabilmente Platone. Negli stessi giorni è uscito in Italia “Sexout” di Wilhelm Schmid (Fazi), saggio filosofico tedesco che intende essere un lungo commento dell’“Escursione nella filosofia” di Hopper ma anche del quadro speculare, “Estate in città”, in cui è lei a sedere mentre lui è nudo e prono senza libri.

Altro che sdraiati, è l’epoca dei seduti.

“Sexout” certifica l’epidemia di disaffezione per il sesso a seguito della sua disponibilità parossistica e democraticizzata (“Cinquanta sfumature” è il più ovvio esempio di questo sex-overkill), tale per cui l’inclusione del sesso sfrenato come opzione comodamente praticabile da qualsiasi sciampista o impiegato ha causato la sua equiparazione ad altre opzioni altrettanto disponibili, consentite e socialmente accettate. Per questo, spiega Schmid, “nella modernità avanzata, almeno per uno dei partner ma quasi sempre per entrambi, il resto è più importante del sesso. Il lavoro. Il fitness. Gli hobby. Gli amici”. Si è smesso di pensare che il sesso è sempre abisso. Il sexout è il periodo più o meno lungo della vita che viene trascorso senza farlo ma soprattutto senza il minimo interesse a farlo, che adesso ha raggiunto preoccupanti picchi di diffusione: l’uomo è diventato un animale che, quando non ha voglia, non fa più l’amore. Si guarda al sesso ponderando che ci sono modi migliori per passare un paio d’ore; tanto vale.

La sempre maggiore identificazione del sesso con la performance (“Viviamo in un’èra di grandi specialiste del pompino”, rivela una fonte di Schmid diversa dalle mie) impone come criterio di giudizio la stessa misurabilità economica che secondo il personaggio di Pascale ci porterà dritti al sesso mistico dei monaci, all’erotismo dei casti. Non solo. Impone anche il pacifico riconoscimento di come oggi, idealmente, la forma più corretta di fare sesso con qualcuno sia pagarlo come si pagherebbe qualsiasi tipo di professionista per un servizio reso – e questo, nello specifico capitolo di Schmid, spiega non tanto l’inflazione di prostitute che c’è sempre stata quanto il vertiginoso incremento di rapporti asimmetrici nelle relazioni di conquista, in cui è chiaramente individuabile un asse di dominio. C’è il sugar daddy ovvero il lui più maturo che compra ciò che può rendere lei felice come una bambina; c’è la cougar ovvero la lei professionista affermata o comunque abbiente che arraffa il giovane facendosi preferire alle coetanee di lui, che hanno la pelle più liscia ma ruoli sociali evanescenti.

In “Sexout” svetta l’esempio di Diogene il cinico, che si masturbava sulla pubblica piazza di Atene per dimostrare che il sesso era una necessità facilmente sopperibile, a differenza della fame; provate a farvi passare l’appetito accarezzandovi lo stomaco e ne riparliamo. Il punto è questo. Il sesso è un bisogno di cui possiamo fare a meno, è natura determinata dalla cultura, è biologia che si fa filosofia e spinge a chiedersi: scopare conviene? L’eiaculazione non è un pranzo di gala, scrisse sul muro un anonimo; va contrappesata con le contrattazioni e le incomprensioni e le recriminazioni che trascina, coi messaggi esegetici che intasano WhatsApp mentre si cerca di dormire o di lavorare, con gli incredibili volevo e credevo di un’altra persona che si presumeva consapevole dei dati di fatto. Oltre che faticoso, è diventato poco remunerativo. Ad esempio oggi, avendo una mezza giornata libera, ho preferito scrivere quest’articolo.

(Antonio Gurrado, “Il Foglio”, 8 marzo)

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