
In una società che vive di apparenza e spettacolarità, la discrezione è una necessaria forma di resistenza. Spegnere i riflettori, abbassare il volume, sapersi invisibili o godere dell’anonimato sono gesti politici prima che morali. Una consapevole scelta di vita in un mondo che ci vorrebbe sempre connessi, protagonisti, inesorabilmente presenti, e in cui s’impone l’urgenza di una tregua, di staccare e sparire. Non nascondere nulla fino a non avere più nulla da mostrare, fino a rendere la propria presenza impercettibile. È arte della sottrazione, non per negare ma per affermare se stessi, e al contempo far scomparire quello che ci definisce. È aprirsi al mondo senza toccarlo, è gioia di “lasciar essere” le cose. È ancora possibile oggi, tra selfie e YouTube, essere discreti? Sì: anzi, la discrezione è la nuova faccia della modernità, un’esperienza “rara, ambigua e infinitamente preziosa”. Una riflessione
Il nuovo saggio del filosofo Pierre Zaoui (così come il film di Panahi trionfatore a Berlino) rilancia il valore del “non esserci”. Contro gli eccessi dell’era social
Imparare a rendersi impercettibili e godere dello scomparire» procura il conforto di ascoltare qualcuno, il piacere di imparare invece che di voler sempre insegnare tutto a tutti. È fonte di una specie di sollievo estetico, è il recupero di uno stile, è una radura di silenzio dentro l’affollato parolaio. È il conforto di una domanda invece di mille risposte dette tutte insieme
—> Quando i bambini non vogliono sentire risposta, fanno per gioco un gesto che gli hanno insegnato gli adulti. Si coprono con le mani le orecchie, a volte chiudono anche gli occhi, e poi dicono “bla bla bla” a getto continuo. Ovvero, innalzano un muro di parole tra sé e il mondo che li circonda, una fortezza inespugnabile collaudata da generazioni prima di loro. Finché continueranno a blaterare niente li potrà raggiungere, nulla li potrà scalfire. Ingenuamente, si proteggono gli occhi e le orecchie, pensando che il mondo potrebbe entrare anche da lì. Crescendo poi si rendono conto che se ne può fare anche a meno, e che quella specie di gioco è una strategia che più o meno usano tutti. Basta non smettere mai di parlare, per non ascoltare.
—> Non è necessario tapparsi le orecchie. Si può saltare fuori dalla trincea e incamminarsi nel mondo senza troppe paure: il caricatore di parole che svuoteremo sarà il miglior fuoco di copertura. L’importante è non lasciare mai il grilletto: dire, dichiarare, chiacchierare, twittare, chattare, affermare, scherzare, sminuire, ingigantire, commentare. Ogni indecisione può essere fatale: appostato dietro un mirino, da qualche parte, c’è sempre pronto qualcuno che potrebbe cominciare a parlare.
—> Eppure poi quando capita di fare cilecca, di restare lì impalati senza munizioni verbali, ci si accorge che succede una cosa soltanto: il mondo comincia la controffensiva, e così facendo ci si spalanca davanti. E se i primi attimi di silenzio possono portare smarrimento – il terrore di sparire – quello che poi ne consegue è una specie di sollievo, e un’insperata e rifocillante pienezza. Questo è uno dei pensieri a cui induce, tra l’altro, la lettura di L’arte di scomparire. Vivere con discrezione, del filosofo francese Pierre Zaoui (il Saggiatore, nella traduzione di Alice Guareschi)… Read the rest of this entry