Non ci si stanca mai di tornare a Giacomo Leopardi. Lo sa bene Antonio Prete, che da oltre trent’anni studia quel particolare rapporto tra meditazione e poesia che fa dell’opera leopardiana un unicum pressoché labirintico. Da Il pensiero poetante (1980) a Il deserto e il fiore (2004), Prete (che ha insegnato Letteratura comparata a Siena per lungo tempo) ha indagato nel laboratorio di Leopardi, insieme frammentario e progettuale, mettendone a fuoco l’incessante mobilità attorno a motivi ricorrenti come il desiderio, il piacere, la ricordanza, la critica alla civiltà, la finitudine e l’infinito, il rapporto con gli antichi, la lontananza dalla natura e la sua evocazione. Il giovane favoloso, il film di Mario Martone, ha portato sulla scena il poeta e l’uomo, secondo alcuni semplificandone la complessità quasi biologica.
Che cosa ne pensa, professore?
«Aver contribuito a mettere in dubbio lo stereotipo scolastico del pessimismo è un merito del film, che ha anche mostrato come in Leopardi l’abito critico, non rassegnato, fosse insieme vitale e corrosivo, affabile e ironico. La formuletta del pessimismo ha impedito di cogliere come la scrittura di Leopardi sappia tenere insieme la rappresentazione del tragico e la musica del verso, lo sguardo sulla finitudine del vivente e l’apertura costante del desiderio, oltre che la necessità dell’immaginazione. E tutto questo accompagnato da un amore sconfinato per il sapere. Un amore non astratto, ma rapportato sempre all’esistenza individuale, al respiro dei viventi, uomini e animali, al legame profondo che unisce tutte le forme della natura, dalle piante alla luna, dal ritmo della nostra vita quotidiana allo spalancarsi delle galassie»… Read the rest of this entry