“Quando si accendono i roghi, mettiti sempre dalla parte della strega, anche a rischio di salire sul rogo con lei” (Indro Montanelli, “Oggi”, 17 maggio 2000)

Portare la Croce della comprensione e della misura. Don Evandro ha strigliato politici e stampa
“(…) Gesù è chino su se stesso… Non assume la posizione eretta del giudice, di colui dal cui giudizio dipende l’assoluzione o la condanna… Non sentenzia, non non giudica, non assolve. Mostra di intendere che l”emendazione della colpa può avvenire solo attraverso la vita liberata dalla Legge e non attraverso la morte sancita dalla Legge. Nessuno può farsi giudice dell’altro, nessuno ha il diritto di decretare la morte dell’altro…
Gesù non vuole prendere parte alla disputa, anche se vi viene trascinato da coloro che vogliono smascherarlo come falso profeta, come trasgressore della Legge di Mosè che sancisce in modo inequivocabile la pena capitale per coloro che si macchiano del peccato di adulterio. In questo modo Gesù si mette dalla parte della donna adultera. Le sta al fianco, non la lascia sola come invece fanno il marito e l’amante… L’obiezione di Gesù agli uomini del Tempio è la stessa che l’analista muove nei confronti dell’anima bella che pretende di giudicare la storia senza implicarsi, senza riconoscere di farne parte, di avere una sua responsabilità nel disordine che condanna risolutamente.
Gesù è il solo in questa scena, ci ricorda Francoise Dolto, che pensa davvero alla donna, piccolo animale braccato, paralizzata quegli uomini che l’hanno strappata dal letto dell’amante. Conosciamo le parole conclusive che rivolge agli scribi e ai farisei che invocano l’applicazione spietata della Legge del castigo senza contemplare alcuna possibilità di redenzione: “Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei!”. Il puro giudica l’impuro esteriorizzando su di lui la sua impurità rimossa o forclusa. E’ il fondamento di ogni integralismo: il puro esige la rivendicazione della sua integrità rifiutando ogni contaminazione con l’impurità dell’Altro, ma ciò che omette (rimuove o forclude) è che questa impurità è, in realtà, un nome del suo essere, un nome della terra pulsionale che lo costituisce.
Per questa ragione Gesù resta chino sulla terra. Si implica, lui stesso, in un movimento di introspezione singolare della Legge che decreta la sospensione del suo carattere sterilmente universale. L’applicazione spietata della Legge che il Super-Io esige (la Legge di Mosè) viene disattivata, sospesa. Gesù non brandisce la Legge come fosse un bastone, non giudica (“Io non giudico nessuno”, Gv 8,15), ma si interroga sul rapporto di ciascuno con la Legge del desiderio. La possibilità del perdono è tutta contenuta in questo movimento di sospensione… Chi sono io per negare all’Altro un’altra occasione? Mentre l’atto della lapidazione implica un movimento proiettivo – di esteriorizzazione del Male, di identificazione paranoica del colpevole nell’altro – quello a cui Gesù ci invita implica un movimento simbolico di ritorno su di sé per cogliere nella terra del nostro essere l’impurità pulsionale che ci concerne. Per questa ragione l’atto del perdono non contiene qui alcun giudizio di valore e non va confuso con il potere dell’assoluzione. “Io non ti condanno”, dice Gesù alla donna prima di lasciarla andare (…)”.
(“Non è più come prima”, Massimo Recalcati, Raffaello Cortina 2014, pagine 84-88)

Coffrini fa surf. Il sindaco sta pagando per aver difeso Brescello con spontanea, ingenua trasparenza