
Contro le docce fredde e i secchi d’acqua, la luna nel pozzo e la piscinetta in cortile. Contro la solita estate dei soliti noti, quelle note intonate per farsi notare e sentirsi i più avanti, pochi accordi e tanti vanti (se la suonano e se la cantano tra loro, iniziati e cooptati, ammogliati e affiliati), “perché ci vuole orecchio anzi parecchio”, dunque tutti lì con le antenne dritte e il sorrisino giusto, e come diceva quel tale, talvolta – perdonate la battuta – si parte cantanti e si finisce a contare contanti.
Contro la dittatura social: mai come oggi la vita è tutta un clip, diffusa in plot e in loop, sotto dettatura vip o nip – not important penis (per non dire di tutti i “r.i.p.” defunti o fungenti in cui ciabattanti c’imbattiamo, li mortacci loro e un po’ anche nostri). Contro i nuovi mostri. Contro l’invasione dei “velfie” (autovideo), contro i filmini splatter tutti sangue e torture, sadismo e violenze, shock e sciocchezze – meglio la foto di un culo in silenzio, ma che sia un culo che parli.
Contro l’emulazione spaccona e le antoniane catene veterovirtuose fintobuoniste similbenefiche, contro l’elucubrazione precoce di chi sa sempre da che parte stare, e perciò non sta mai zitto, anche solo per un quarto d’ora di pubblicità. Contro il “nomination marketing” e l’hashtag narcissism, flagelli del postmoderno e ormai anche del postmortem. Contro le campagne cool – e le periferie pop. Contro il feticismo dei pretesti, contro il felicismo del vincere facile. Very n-Ice.
Quelli della doccia fredda, che tanto l’estate sta finendo e il caldo arriverà. Giornalisti con la testa mozzata e politici con la testa nel secchio, perché ci vuole orecchio.
L’esibizione social del dolore e della solidarietà, tra palco e realtà, dramma e gioco, angoscia e sorrisi. Nomination marketing e hashtag narcissism, naturalmente vicini ai fotogrammi dell’orrore, al sanguinario potere dei cattivi.
Prima Gaza e avanti un altro, le bombe sui bimbi e le fosse come tombe, i gattini malmenati e i gattini adorati, cani abbandonati e cani scuoiati, stupratori incendiati vivi e ragazze sepolte vive, senza soluzione di continuità, prodotti di consumo da mettere nello stesso carrello, da condividere sulle stesse bacheche con insano voyeurismo. A caccia dello shock, a uso degli sciocchi.
Tutto nel frullatore, il male indicibile (subìto) e il bene imbecille (esibito). Vip che se la suonano e se la cantano tra loro, i soliti noti delle solite note, e tanti nip (not important people, nice internet person) a rimorchio, presi da irrefrenabile emulazione.
Nel flusso social dell’autorappresentazione, per appartenenza al giro giusto, il circuito cool, o per un po’ d’apparenza da appuntarsi all’occhiello, tutti insieme appassionatamente, con “velfie” (autovideo) da mettere in circolo, anzi in circo. Nei Tg all’ora di cena, nel web a tutte le ore.
Giuste cause che non costano nulla, battaglie senza azione, sensibilizzazioni del vincere facile: tout se tient nel rutilante mondo della pop charity, dove il soggetto oscura l’oggetto (di cui poco si sa e invece tanto bisognerebbe sapere, se solo non ci si dimenticasse in fretta del focus, subordinato al ficus).
Come l’assunto di quei testi che soccombono (soggiacciono) all’assurdo dei pretesti – il medium è il messaggio, e in questo caso si tratta di un viaggio di sola andata, che dura il tempo del buffering, di un refresh o di uno scroll: in questa dannosa dittatura dell’istante e dell’istinto, dove tutto si guarda e nulla si impara, tutto si posta e nulla rimane tra le pagine chiare le pagine scure, perché tutto è uguale e tutto si ripete. Pretesti pelosamente preteschi, appunto.
Questa dittatura (dettatura) tele-visiva, dove l’unica regola è essere visibili, direttamente o di riflesso. E con discutibile rispetto verso chi, nelle stesse ore, è stato costretto con la forza e la minaccia (in spregio alla privacy e in sfregio alla libertà) ad apparire sulla scena planetaria del macabro e del disumano, ripreso dalle telecamere e poi sgozzato da un gruppo di fanatici criminali: un reality cui la catena di montaggio e smontaggio del networking digitale di casa nostra ha fatto da cassa di risonanza, dandone insidiosa, esponenziale pubblicità… e per cosa, se non per inquietanti finalità oculari?
La diffusa dittatura del presente, senza storia senza memoria senza profondità, di smanie umorali e abitudini alla lunga tumorali, metafore di metastasi del pensiero. Marmellata impazzita, acritica e impulsiva, simultanea e dissonante, il pulp e il trash, i tuffi al mare e l’horror vero (altro che vacui), le prove costume e il malcostume italiano (mala tempora), i culi sodi e i tatuaggi nuovi, i tramonti in montagna e i crepuscoli di civiltà.
Tutti sadomasochisti, tutti feticisti, tutti strizzatori d’occhio, furbetti finto-emozionali, quindi tutto da vedere, tutto da origliare, tutto da cliccare.
Conformisti che brancolano, ora piangenti ora piacenti, contro la fame nel mondo ma mai contro la fama di sé. Insomma: tutto da evitare, molto da esecrare. Secchiate, secchiate pure, acqua ghiacciata e velleità agghiaccianti, che qualcosa resterà, o qualcuno arriverà.
L’estate se ne va…