Sempre più infelici a strati,
smarriti mariti nel gelido caldo di routine “a strali”.
Indistinte moltitudini senz’arte né carte
salutano l’indivisa solitudine del bardo a ore,
felini nemici tra cardo e decumano
(movenze febbrili in città spettrali,
sentenze astrali e bagaglio a mano).
(…)
Lavorare su se stessi:
tra l’ufficio e il tinello,
illusi da decrescite felici.
Nella fame di morale
tutti lì a volersi bene
(preferire il riso al pane,
il volgo al volto,
il pianto al canto).
(…)
Meglio andare al mare
che rischiare l’amore.
Dimenticare chi non siamo
per non raschiare il barile.
Rinviare i rinvii,
scordare il carnale,
insomma bastarsi.
Calarsi nell’imbanale dirsi,
buttarsi.
Tuffarsi nella catarsi
del non fermarsi qui,
del non restare mai.
Semmai lasciarsi andare:
farsi in là, darsi al via.
(…)
Sdraiarsi di cielo,
rinascere al sole come fenici.
Respirare la spiaggia,
volare la riva,
bagnarsi il cuore
fino al limite inferiore.
Camminare la sabbia viva,
aversi dentro e fuori il lino.
Nella mescita d’un vino
decantarsi nel godere
d’una crescita interiore.
Attrarsi a sé,
sfogliarsi,
accaldarsi fino in cima:
attardarsi nella rima,
spogliarsi,
arrivarsi dritto al centro.