Condensava in sé svariate obiezioni d’in-coscienza,
vantando di produrre siero d’isolata appartenenza.
In antitesi all’abiezione di chi si bea d’altrui cilici, quasi un’Antigone
nel farmi lirico antidoto al desolato cinismo dei famelici finto-felici:
come un’antilope in fuga da divoratori di favori – i sapropelici amici!
spezzare la catena già pesante della pena. (Lì, nel canto anti-emetico
di livida prossemica: quella ruvida ortoprassi d’ermetico clangore!).
Dettava legge, con l’ago in pancia.
Dispensava iniezioni di fiducia a ore. Lui, come un novello Galeno,
fiero nel suo “agocentrismo” pio e indolore (né rovello né veleno).
Nell’eco della sera, senz’alcun rimorso o nesso, ritrovò un solo se stesso.
Riannodò il filo del discorso. Tornò a essere, di sé, il re. “Ego” di bilancia.
(Lo è da sempre,
lo sa da adesso).