Progetti urbani e processi culturali IPERCANTIERE-CITTA’, CHE FARE?
Area Nord, Reggiane, Esagono, Musei e dintorni: “Siamo sicuri
che a Reggio (che ha e ha avuto grandi architetti, da Piacentini
a Manfredini) servano i punti esclamativi d’archistar-civetta?”

Progetti urbani e processi culturali IPERCANTIERE-CITTA’, CHE FARE?
Area Nord, Reggiane, Esagono, Musei e dintorni: “Siamo sicuri
che a Reggio (che ha e ha avuto grandi architetti, da Piacentini
a Manfredini) servano i punti esclamativi d’archistar-civetta?”


Dici Reggio Emilia e pensi alle archistar. Dopo i tre ponti disegnati da Santiago Calatrava per attraversare l’autostrada e rendere monumentale il collegamento fra la città e Bagnolo (settemila anime a nord del capoluogo), e in attesa della stazione sempre «designed by» Calatrava (costo 80 milioni circa) ecco che si affaccia nel laboratorio architettonico d’Italia un’altra archistar…

Dibattito in città: davvero i progetti delle archistar costituiscono un valore aggiunto?

E’ Italo Rota, notissimo per la casa dello stilista Cavalli, eclettico, neo-barocco architetto milanese che scende nella capitale del formaggio e rivolta come un guanto vecchio i Musei civici. Un luogo che oggi è un misto: collezione ottocentesca, sala degli animali imbasalmati, quadrerie, reperti archeologici. Poco appeal, ti dicono, e Rota non ci pensa due volte. Progetta enormi funghi all’ingresso dei musei, propone period-rooms accanto alle collezioni storiche in un progetto-provocazione che divide subito la città e la cultura. Risultato? «Un luna park», l’offesa più scrivibile. Rota allora scende nel cuore della rivolta e spiega ai cittadini il verbo. I costi sono una variabile. Morale? A qualcuno piace archistar, ma per una città significa prendere o lasciare, perché mica si può discutere con una star.

Ma allora il dubbio amletico deve anticipare la divisione: serve davvero l’eccelso per uscire dall’anonimato? Solo l’iperbole permette alla città di provincia di sfuggire dall’uffa-che-noia? E se poi, accanto al punto esclamativo, resta una pagina di scarabocchi? Reggio è stata in passato la città di grandi architetti, che non sono mai stati archistar. Pensiamo a Osvaldo Piacentini, che negli anni ’60 ha disegnato quartieri ancora oggi al top delle quotazioni nel mercato immobiliare. O Manfredini, considerato l’allievo italiano di Le Corbusier: le sue tracce sono ovunque in città. Time out, allora. Prima delle period-rooms, cercansi spazi per il museo del Novecento reggiano, almeno per salvare la fucina storica ed economica che furono le Officine Reggiane. (Davide Nitrosi, direttore Carlino Reggio)

2 Responses »

  1. Vorrei poi far notare che ad un orecchio anglofono ‘period room’ suona qualcosa come ‘stanza del ciclo (mestruale)’.
    E non scherzo.
    Bella figura di fronte alle delegazioni di reggio children.
    Questi dell’ufficio cultura sono veramente dei giganti…

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