Inchiostri nostri. Requiem per le amate “dinosaure”, compagne fedeli di giornalisti e scrittori. Chiude in India l’ultima fabbrica: la prima fu ideata dal novarese Ravizza nel 1846. Da status symbol a oggetto superato, come i dischi in vinile e la carta Kodak. Come gli amori solidi-stabili e la bella-buona politica.
In Occidente, da almeno un decennio, sono considerate pezzi d’antiquariato e a usarle sono rimasti solo i nostalgici e gli eccentrici. Nei giorni scorsi ha chiuso i battenti in India la Godrej & Boyce, l’ultima azienda al mondo che produceva macchine per scrivere. Va definitivamente in pensione un’invenzione che ha dato grande lustro all’Italia (la prima macchina per scrivere fu ideata dal novarese Giuseppe Ravizza nel 1846 e una delle più celebri della storia, la mitica Lettera 22 fu realizzata dalla Olivetti a metà anni Cinquanta) e che ha radicalmente cambiato il modo di lavorare delle aziende nel XX secolo.
ASCESA E DECLINO – In India il commercio di macchine per scrivere ha resistito fino a pochi anni fa, ma il recente boom economico che ha investito il subcontinente asiatico e il relativo calo dei prezzi dei computer ne ha sancito il definitivo tramonto. Nell’ultimo anno la Godrej & Boyce di Mumbai ha prodotto solo 800 esemplari, la maggior parte con tastiera araba per i Paesi islamici. Siamo molto lontani dai numeri raggiunti dalla stessa azienda nel corso dei decenni passati: i primi esemplari in India furono presentati negli anni Cinquanta e il primo ministro Jawaharlal Nehru descrisse la macchina per scrivere come «il simbolo della nuova indipendenza industriale dell’India». Negli anni Novanta la Godrej & Boyce vendeva sul mercato asiatico circa 50 mila esemplari. Poi è cominciato il veloce e inesorabile declino.
COMMERCIO - Milind Dukle, direttore generale dell’azienda indiana, racconta amaramente all’India’s Business Standard: «Non riceviamo più commesse. A partire dal 2000, i computer hanno cominciato a dominare il mercato. Tutte le fabbriche che producevano macchine per scrivere hanno fermato la loro produzione. Tranne noi. Fino al 2009, producevamo 10-12 mila macchine ogni anno. Ma probabilmente i nostri clienti erano per lo più collezionisti. Oggi il nostro principale mercato è quelle delle agenzie di difesa, dei tribunali e degli uffici governativi. Durante gli anni d’oro», continua il direttore generale, «non solo il mercato interno era forte, ma si moltiplicavano anche le esportazioni in Marocco, in Indonesia, Sri Lanka e Filippine. Oggi in India ancora resiste il commercio delle macchine per scrivere usate». Queste continuano ad avere un buon mercato, tuttavia come dichiara Samar Mallick, commerciante del settore, prima o poi anche questo mercato scomparirà: «Chi ha bisogno oggi di una macchina per scrivere?», chiede retoricamente il commerciante. «Eppure quando cominciammo questo business, la macchina per scrivere era uno status symbol».
Francesco Tortora (Corriere della Sera)
Che poi sarebbe MACCHINA PER SCRIVERE e non MACCHINA DA SCRIVERE.
Oggi intanto ho visto in negozio una macchina fotografica reflex con pellicola e mi è venuto voglia di comperarla, per la valenza simbolica dell’oggetto. Ovviamente oggi se uno aprisse una fabbrichetta di macchine per scrivere che produca pezzi unici artigianali, farebbe una barcata di money… Se tu ci stai, io ci sono.
D’accordo, ma l’uso corrente o più comune è “da scrivere” (come macchina da cucire).
Lo dice Wikipedia: http://webcache.googleusercontent.com/search?q=cache:YAA30w87qk4J:it.wikipedia.org/wiki/Macchina_per_scrivere+macchina+da+scrivere&cd=5&hl=it&ct=clnk&gl=it&source=www.google.it, ossia:
“(…) Macchina da scrivere o macchina per scrivereIl nome usato popolarmente, “macchina da scrivere”, sembrerebbe (ed è da alcuni considerato erroneamente) un errore logico (non grammaticale). In realtà si tratta di un uso corretto della preposizione “da” con il significato di fine o scopo, come segnalato da qualunque dizionario e come registrato dai linguisti. Altri esempi evidenti di quest’uso alquanto comune in italiano sono moto da corsa, abito da sera, servizio da tè, sala da ballo, mobili da ufficio, carta da regalo, ecc.
Quest’uso è anche ben attestato in letteratura, ad esempio nel Alessandro Manzoni ne I promessi sposi[2]:
«(…) ad ogni contadino (…) fece dare un giulio, e una falce da mietere.»
Qui chiaramente si intende che lo scopo della falce è quello di mietere, e non di essere mietuta. Infatti, il significato di questa preposizione usato in questa costruzione era in aperto contrasto con il significato secondo cui “da” davanti all’infinito di un verbo indica qualcosa che deve essere fatta (da vedere, da vivere, da non perdere, …), e quindi la disambiguazione era lasciata al contesto:
– falce da mietere – grano da mietere
in questo caso la preposizione aveva un significato opposto a seconda del contesto
– occhiali da vedere
in quest’altro caso senza alcun contesto specificato, gli occhiali potevano servire per vedere (scopo), oppure erano occhiali che dovevano essere visti (azione da essere fatta).
Nell’italiano contemporaneo, il significato di scopo della costruzione “da + verbo all’infinito” è ancora vivo in espressioni come appunto macchina da scrivere o macchina da cucire, e ancora in forme come la congiunzione in modo da”.
Buona idea, ok, mettiamoci a produrre “word-machine”…